Da "Il Ruvido" #5, in edicola dal 22 dicembre
Maya o non Maya, Natale è
arrivato anche quest'anno e un po' noi tutti, fin da subito, fin dal
primo addobbo natalizio che abbiamo incontrato per strada, siamo
stati pervasi da un unico sentimento che ci ha riempito il cuore:
l'angoscia. Se sei un bambino è un gran bel periodo, si può dire
che non aspetti altro; ma se è da un pezzo che hai smesso di credere
a favolette come Babbo Natale o “la legge è uguale per tutti” è
il momento più drammatico dell'anno, persino più drammatico della
prova costume estiva. Tutto ha inizio un paio di mesi prima di
dicembre, quando il clima si irrigidisce, i maglioni escono dagli
armadi e capisci che il Natale si è incamminato per venirti a
rompere i coglioni. Però non ci pensi ancora più di tanto, è un
appuntamento tutto sommato ancora lontano. Ci si rende conto che sta
veramente arrivando Natale quando Bruno Vespa presenta il suo nuovo
libro. Nel momento preciso in cui vedi i servizi sulla conferenza
stampa di presentazione del tomo e senti l'ospite fisso Berlusconi
parlare di qualunque cosa che non sia il libro di Vespa, SAI che
ormai manca poco. Sono tanti gli aspetti agghiaccianti del periodo
natalizio, ma vorrei soffermarmi su uno in particolare: i parenti
lontani.
Ecco, secondo me, la
peggiore calamità del Natale è il dover contattare i parenti
lontani. Conosci i nomi della maggior parte di loro, ma associare
quei nomi ad un viso è poi cosa impossibile, visto che l'ultima
volta che li hai visti è stata mentre sorseggiavi latte dalla tetta
materna.
Tizi ignorati per tutto
l'anno, dei perfetti sconosciuti con cui ti vedi o ti senti
esclusivamente in caso di morte o di vincite miliardarie, in questo
periodo si impossessano improvvisamente di te e diventano il più
importante dei tuoi pensieri. Non per tua volontà, è ovvio, ma per
volere dei tuoi genitori che imploranti ti ripetono fino alla nausea
“che figura ci facciamo”, quando in realtà vorrebbero dire “i
parenti possono sempre servire...dai, che ti costa, fagli una
telefonata così si ricorderà di te nel testamento”. Nella
telefonata standard al parente ignoto devi riassumere un anno di vita
cercando di essere il più breve possibile. Devi essere sintetico ed
essenziale come la trama di un porno tedesco anni '70 perché il
parente a cui fai gli auguri è, il più delle volte, un ottuagenario
con le trombe di Eustachio esplose nel '69 e che interpreta a suo
piacimento i suoni che cerchi di inviargli dalla cornetta. Se ti
dilunghi sei finito. E' un anno che non ha tue notizie, è rimasto
all'aggiornamento del Natale precedente e vuole sapere TUTTO. E per
TUTTO non intendo che vuol sapere se nel frattempo hai trovato
lavoro, hai figliato o se stai semplicemente bene. Vuole sapere cosa
hai fatto ogni santo giorno dal 26 dicembre precedente fino ai 10
minuti prima. Più anziani sono, più tempo libero hanno.
La telefonata di solito
si svolge così, in rapidissima successione: opera di convincimento
da parte dei tuoi (di solito 2-3 giorni), temporeggiamento davanti al
telefono, digitazione del numero seguita dalla speranza di trovare
occupato (in tal caso, per motivi sconosciuti e privi di fondamenti
scientifici, la telefonata viene annullata e rimandata all'anno
successivo oppure delegata al fratello o alla sorella), smoccolamento
selvaggio al primo squillo di “libero”, attesa che dall'altra
parte la cornetta si alzi, speranza che il vecchio non senta o sia
fuori casa (in questo caso entra in vigore la norma già adottata
nell'eventualità di numero occupato), risposta, sintesi tipo porno
tedesco anni '70, saluti di commiato, chiusura della telefonata ed
esultanza finale stile Marco Tardelli '82. Tutto finito. La
tachicardia sparisce e la vita può riprendere serena e spensierata.
E adesso goditi il tuo trionfo: hai solo un anno di relax prima della
prossima telefonata...
(Nella foto, Emma Bell si rende conto che è il 24 dicembre e che deve telefonare ai parenti)